STREET PHOTOGRAPHY – TRA ETICA E LEGGE


Uno dei tormentoni degli ultimi giorni in fatto di street photography è sicuramente quello che andremo a vedere di seguito.
Imbattutomi nel video che vedete qui sotto che mi è stato segnalato, è stato veramente un piacere vedere una delle mie fotografie insieme a quelle dei grandi della fotografia di strada di sicuro mi ha lusingato.
Il passaggio successivo alla visione del video è stato quello di cercare di capire il perché fosse stata scelta una mia fotografia (domanda che ho fatto anche all’autore e per la quale sono in attesa di risposta) e le motivazioni che abbiano spinto l’autore a realizzarlo.
L’ho ritrovato anche il giorno dopo su PetaPixel in un articolo che riporta un po’ quanto di seguito verrà trattato, con anche dei commenti degli utenti veramente interessanti (consiglio vivamente di leggerli).

Jamie Windsor è un fotografo e videomaker londinese che si pone (e ci pone) una serie di interrogativi sulla street photography.
Ovviamente non ci riferiamo al domandone del secolo, su cosa effettivamente sia la street photography, anche perché chi vive la fotografia e non la pratica, oltre a non aver bisogno di definirla, di fatto sa bene cosa sia, ma sull’effettivo valore dei suoi contenuti, di chi la pratica portando in primo piano la questione che si dovrebbe destreggiare tra etica e legalità.

Partendo da un’affermazione che condivido in pieno, cioè che la candid photography (uno dei rami della fotografia di strada) sicuramente ha un valore fondamentale per la società e per la storia, ma come valore aggiunto è quella parte di comunicazione “non filtrata” come invece avviene oggi sui social, visto che selezioniamo bene i contenuti da far fruire, scegliendo cosa far e non far vedere a chi ci segue.
Le scene invece accadono. L’unico filtro è la scelta dell’immortalarla.

Per farci porre queste domande e se sia etico fotografare qualcuno senza la sua piena consapevolezza (ma anche del fotografo), Jamie ci arriva facendoci l’esempio di Fan Ho. Uno dei più grandi documentaristi orientali che ha vissuto ad Hong Kong e secondo Jamie la forza del lavoro di Fan Ho (oltre al suo sguardo ed alla sua evidente bravura e sensibilità) è nell’aver vissuto in prima persona quella condizione sociale che, non sarebbe stato possibile trasmettere.

Dopo Fan Ho l’esempio portato da Jamie è di  Nan Goldin, che ha rappresentato per una vita tutto l’impianto trash e dell’umanità degli eccessi americani, tanto da farne parte ella stessa con una forte problematica di dipendenza dalle droghe.
Senza alcuna ombra di dubbio una maestra nel suo genere.

Ma può l’occhio di un fotografo poter trasmettere un’umanità che non vive in prima persona, non in maniera estemporanea, ma approfondita, entrando infondo nei rapporti con i soggetti ritratti. Questa è la domanda che inizia a porci J. portando ad esempio contrario dei primi due autori invece uno dei più geniali e controversi fotografi dell’era contemporanea. Martin Parr.

Secondo Jamie, se pur un indiscusso genio della fotografia, con una visione molto contemporanea ed articolata, la fotografia di Martin Parr si cimenta in modo accusatorio nei confronti di una classe sociale che in realtà non gli appartiene.

Fermamente convinto che la mancanza di presenza del fotografo, all’interno delle sue immagini mancherebbe il fattore dominante. Ma è pur vero che siamo nel filone documentario della street photography e non tanto in quello candid (almeno non quello che intendiamo oggi).
Diventa così fondamentale essere parte di un sistema per poterne realizzare una documentazione ed averne una visione?
Certo, la visione del fotografo che non ne fa parte potrebbe discostarsi tanto dalla realtà e quindi mettere in circolo una serie di immagini che non corrispondono al vero. Ma da quando in valore assoluto la fotografia dichiara il vero? Si tratta sempre della verità del fotografo che, per quanto vissuta o non vissuta, sarà sempre influenzata da suo punto di vista.

Per arrivare a capire quello che è il vero problema delle street photography oggi, Jamie usa come esempio questo video, dove c’è un uomo che si rade in treno, sotto gli occhi di tutti. Una scena che per uno street photographer (che secondo me non vuol dire proprio nulla) sarebbe stata interessante e che avrebbe di sicuro provocato una reazione da parte dei fruitori delle sue immagini, proprio come e successo per il video, diventato virale.

A questo punto però, se conoscessimo la storia di questo uomo, probabilmente non farebbe così ridere, visto che ha passato un bel po’ di notti in un centro accoglienza per senza tetto e sta cercando di darsi una sistemata perché sta andando ad incontrare dei suoi familiari, nell’unico modo e momento a sua disposizione. Questo, in Italia, potrebbe ricadere tranquillamente negli artt. 96 e 97 della LDA, dove si fa espressamente menzione della lesione d’immagine e della dignità del soggetto ripreso).

Quindi, la vera questione sta nel confronto costante tra legge ed etica, con la quale ogni fotografo che documenta deve fare i conti giorno dopo giorno.
Ed è effettivamente vero. Il fotografo di strada deve essere a conoscenza dei propri limiti legati ed essere pronto ad accettare le conseguenze nel momento in cui decidesse di evaderle secondo la propria etica.
Se la scena che si sta riprendendo ha rilevanza per la documentazione e può portare qualcosa di costruttivo alla storia, lasciando un segno epr i posteri allora è giusto che venga realizzata. ma consapevolmente coscientemente.
Nel caso in cui ci si trovasse di fronte da un solo vezzo estetico, senza nessuna utilità documentale, allora il fotografo sarebbe opportuno facesse i conti con la propria etica, non realizzando la fotografia.

Credo anch’io che bisognerebbe porsi delle domande quando si scende in strada per fotografare, credendo che basti andare in giro e fotografare tutto quello che attira la nostra attenzione, mentre invece l’importanza storica della fotografia di strada sta iniziando a scomparire lasciando il posto a esercizi di stile, vezzi estetici, immagini prive di contenuto e significato, in un’alimentazione di sovrapproduzione inutile.
Facciamo tornare la fotografia di strada ad essere uno di quei rami della fotografia diretta e facciamole fare quello per cui è sempre stata utilizzata: documentare.

Quando fotografate qualcosa o qualcuno in strada vi ponete mai queste domande? 
Mi piacerebbe sapere se tutti quelli che si avvicinano alla fotografia di strada, o che la praticano da anni, oltre a cercare di sapere se la loro produzione è street oppure no, si pongono domande etiche. Se sentono quel dovere che la fotografia di strada ha nei confronti della storie e dei posteri.

La mia fotografia scelta da Jamie Windsor per il suo video è questa:

Attendo vostre sulla questione!!!

 

9 pensieri su “STREET PHOTOGRAPHY – TRA ETICA E LEGGE

  1. Ciao Angelo, ho visto il video di James e mi è piaciuto perché pone delle domande su questioni che credo siano importanti, però ci sono alcuni punti sulla quale non sono d’accordo. Innanzitutto trovo l’incipit, ovvero la parte di Bruce Gilden, abbastanza decontestualizzata. Ho visto infatti molte interviste dove Bruce Gilden che all’apparenza è molto duro e freddo, spiega che in realtà prova molta empatia per i soggetti che fotografa, si identifica con loro per via del suo passato e sono molte le volte che ha fatto felice una persona qualunque dicendole di averla trovata interessante.
    Venendo alla parte centrale del video penso che Fan Ho, Nan Goldin e Martin Parr abbiano approcci e intenti completamente diversi e non esista un modo giusto di fare street. Fan Ho secondo me è paragonabile a un poeta che con giochi di luci e ombre descrive la realtà con estrema bellezza, cogliendo l’anima del soggetto rapportato all’ambiente in cui vive ottenendo risultati surreali e quasi astratti. Nan Goldin invece, come dice James, credo abbia un approccio più da vicino. Con un occhio attento ci trasporta anche noi in quella realtà da lei vissuta e ne descrive le problematiche dall’interno. L’approccio di Martin Parr credo invece che sia paragonabile a quello di un intellettuale che denuncia il conformismo e il consumismo della società in cui vive. Non vuole empatizzare ne identificarsi con i soggetti da lui ritratti (poi non so se gira anche lui con sandali e calze) ma farne una critica profonda volta a farci riflettere sulla società che si è creata grazie al boom economico degli ultimi 50 anni, quella trasformazione che Pasolini chiamava “rivoluzione antropologica”, che vede un modello di consumo e omologazione imposto soprattutto dalla televisione e dai mass media, usando ironia e sarcasmo come forma di denuncia che serve per farci riflettere, non per suscitare la risatina da video virale come viene fatto credere nel video di James. Ciò non toglie il fatto che ci sono i fotografi che hanno l’intento di prendere in giro i loro soggetti ma non credo sia il caso di Parr e non credo neanche che possano aspirare a diventare fotografi della Magnum. Poi tutto questo dipende anche dall’osservatore, questo è quello che ci vedo io e non credo di avere nessuna verità assoluta in tasca.
    Mi sono appassionato alla fotografia da poco e sono curioso di sapere la tua opinione, come quella di altri fotografi più bravi ed esperti di me.

    1. Alessio, la tua esamina è lucida e coerente. Mi trovi d’accordo su tutto. Infatti come ho anche scritto a James non sono per nulla d’accordo sulla questione Parr.
      Bisogna più che altro per un attimo allontanarsi da quelli che sono gli esempi riportati nel video e valutare effettivamente cosa volesse dirci l’autore.
      Il punto alla fine è quello fondamentale: quando fate (facciamo) street photography, cerchiamo di confrontarci con quella che è la storia che stiamo raccontando, lasciando da parte il vezzo estetico e prendiamoci la responsabilità di documentare. Su questo sono concorde.
      di fatto, mi chiedi quale sia la mia opinione, ma tirando le somme quello che penso è che bisogna avere consapevolezza in fotografia, non solo in questo campo, ma nell’utilizzo delle immagini in generale.
      l’utilizzo consapevole della fotografia ha sicuramente dei risvolti positivi e costruttivi sull’umanità.

      1. Caro Angelo, ho trovato molti stimoli interessanti in quello che scrivi. Premetto che i miei riferimenti di ispirazione iniziale nella “letteratura della comunicazione visiva” risalgono (aimè) ai fotografi francesi dagli anni 30 in poi (ometto i soliti nomi noti), gli americani della FSA, poi ancora gli americani dagli anni 70 in poi (non tralasciando però il neorealismo e i riferimenti del reportage italiano). Per cui se si domandasse a un giovane rampante street photographer di oggi riterrei difficile (forse giustamente, da quello che va per la maggiore) che consideri il mio approccio alla fotografia che a volte mi piace anche fare in strada o nei mezzi di trasporto pubblici associabile ai suoi interessi. A me interessa raccontare delle storie, a volte storie di altri, qualche volta le mie. E anche fuori dai progetti pluriennali tematici (che seguito comunque a prediligere) l’approccio non cambia in strada. Una storia può anche essere raccontata con una singola fotografia, in una istantanea in strada (cogliendo un momento più o meno decisivo ☺ ). Detto questo vengo al punto: personalmente non condivido la legislazione vigente che regola la cosiddetta privacy e nel mio modus operandi procedo seguendo come linea guida la mia etica personale del rispetto della dignità altrui, del non voler recar danno, del non voler strumentalizzare artatamente la ripresa per mettere in cattiva luce il soggetto fotografato. Quindi prediligo l’etica rispetto alla legalità (non imitatemi). So benissimo che questo dall’altro punto di vista (quello della giurisprudenza) non è sufficiente. Pazienza, se dovesse capitare ne affronterò le eventuali conseguenze. (spero che in futuro interverrà un ritorno del buon senso che cambi l’approccio di tutela dal “fotografo invadente” per chi, solo a titolo di esempio didattico, dovesse baciare in pubblico l’amante clandestina, piuttosto che fare quello che vuole ma vista la clandestinità della relazione magari non in luogo pubblico). Un ultima considerazione la farei relativamente alla fotografia che non racconta le storie di altri (quindi non documentaria) ma che racconta le mie storie utilizzando i personaggi casualmente incontrati (inconsapevoli) che recitano, con il loro flusso vitale e le loro azioni, situazioni e scenari che emotivamente “risuonano empaticamente” con la mia emotività, i miei sentimenti, il mio modo di sentire. A loro mi verrebbe, più che di chiedergli di firmarmi una liberatoria, di ringraziarli per aver recitato in modo molto naturale il loro ruolo di attori protagonisti o non protagonisti ☺.

  2. Giuseppe grazie!
    Anch’io do sempre molto più spazio alla mia etica che non alla legge. Ma non è una questione sovversiva, credo fermamente che le regole servano a disciplinare l’uomo e il vivere civile. Ma credo anche che la legge debba tenere in considerazione qualcosa per il quale, spesso, non ci si rende conto: la storia.
    Il fatto che nel 2300 i nostri posteri non vedranno foto di bambini, lascerà pensare che siamo nati adulti (come dico sempre ai miei alunni).
    Però questo oltre a farci pensare, deve stimolarci e deve creare delle campagne di sensibilizzazione.
    Bisogna utilizzare la fotografia nel modo più utile per l’umanità. Sempre!

  3. Caro Angelo, penso che un buon fotografo di strada debba possedere due doti fondamentali: sensibilità e cultura fotografica. La sensibilità per comprendere quando scattare (o meglio, cosa pubblicare), cultura fotografica per capire come scattare. A ben pensarci dovrebbero essere le doti di ogni buon fotografo! Il video è interessante e stimolante ma, per ovvi motivi di tempo, parziale e incompleto, comunque ogni stimolo alla riflessione e alla discussione è cosa buona e giusta. Le regole, come dici tu, sono indispensabili, il rischio è l’abuso delle regole. Sarebbe preferibile che certe fotografie non venissero pubblicate non perchè infrangono leggi, ma perchè sono moralmente inaccettabili (anche se su PetaPixel qualcuno, giustamente, discute sull’idea di morale…). La base della convivenza civile è la civiltà dell’individuo. La civiltà si trasmette con l’esempio e l’insegnamento. E’ una missione difficile, faticosa e lunga, e paradossalmente i social non aiutano, veicolando messaggi in antitesi con le regole di convivenza.
    Secondo me la tua foto è stata scelta perchè è una bellissima fotografia e perchè è coerente con le fotografie che la precedono e la seguono. Buonanotte e a presto! 🙂

    1. Tutto quello che dici è giusto e corretto.
      Ho preso la palla al balzo sfruttando il video per aprire proprio la discussione.
      Siamo arrivati ad un punto in cui la questione legata alla fotografia di strada è diventata ingestibile. Non tanto fra i fotografi che la fanno con coscienza ed utilizzano il senno e l’etica, ma tra chi si approccia credendo si tratti di semplici fotografie fatte in strada. È compito di chi, come me, insegna anche oltre che realizzare. Il dovere morale si duplica.
      Ti ringrazio per l’apprezzamento della mia fotografia e le tue parole mi lusingano.
      Abbiamo in sospeso qualcosa tu ed io. 😉

  4. Ciao Angelo,
    Ti ringrazio per averci dato spunto di riflettere su questo argomento.
    Faccio street e anch’io a volte mi chiedo se sia giusto o meno scattare in determinate situazioni che si possono presentare.
    Non condivido la disamina fatta dall’autore del video soprattutto quando parla di Fan Ho di Nan Goldin e di Martin Parr, non capisco su quali basi fondi le sue argomentazioni che rispetto come pensiero privato ma non accetto come verità assoluta.
    Non può essere così sicuro sugli intenti degli artisti in questione e in particolare la critica su Parr la trovo ingenerosa e fuori luogo.
    Quanto alla street in generale anch’io amo la street documentale e non amo la piega che ha preso negli ultimi tempi diventando quasi un esercizio di stile alla ricerca del colpo ad effetto ma quasi priva di contenuto.
    Tornando al discorso etico io mi sono imposto di non scattare alcuni soggetti come mendicanti,vagabondi persone poco abbienti o con problemi fisici o mentali e questo perchè non voglio giudicarli e nè voglio che lo facciano gli altri attraverso la mia fotografia.
    Per tutti gli altri il problema credo si ponga meno anche se, come dice l’autore del video noi di queste persone non sappiamo nulla eppure li ritraiamo in certe situazioni secondo il nostro punto di vista. Tuttavia non credo che ci sia l’intento del fotografo di esprimere un giudizio quanto piuttosto la volontà di raccontare una storia usando attori che non conosce.
    La verità non è il fine della street photography quindi non esiste giudizio.
    Io credo che nella street la realtà e quindi anche gli attori ritratti siano solo un mezzo per raccontare una storia che può essere quella del fotografo o di chiunque veda la fotografia…niente di più.

    1. Vedo anch’io molta forma e poco contenuto nella produzione di massa. Fortunatamente ci sono anche molti fotografi coscienziosi e che realizzano contenuti di spessore, atti anche a lasciare un documento.
      Direi che lo spaccato che ne sta venendo fuori è abbastanza chiaro. Il tempo di produzione del video di James è abbastanza ridotto per farne un punto. Ma genera domande. Va benissimo così!
      Grazie per essere passato.

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