Non ho mai rincorso la definizione, la risposta alla domanda che non troverà mai una “risposta ricetta”, forse è quello che mi ha portato a capire che si tratta di un modo di essere.
Un giorno di metà marzo ero a casa di Maurizio Garofalo, tra fotografia, pranzi, amici e massimi sistemi portati alla semplicità, quando la discussione si è portata verso la mancanza di un vero e proprio filone di fotografia di strada in Italia, molto probabilmente legato ad una mancanza di conoscenza, di approfondimento e di spinta verso la curiosità.
Vizi di forma, esercizi di stile, estetica che opprime il contenuto.
Al che Maurizio tira fuori un testo scritto per una mostra di Tano D’Amico (non ho chiesto di che mostra si trattasse, ne tantomeno dove, cosa, come, perché) nel quale tano parlava di fotografia di strada, facendola diventare quasi un manifesto.
La fotografia di strada divide quelli che fanno questo lavoro. Divide non unisce.
La strada impone scelte rapide, schieramenti scomodi.
A stare per strada con coscienza si deludono molte persone a noi prima vicine e siamo delusi da molte persone a noi prima vicine.
La fotografia di strada è difficile e quando non capita niente è come cercare di fotografare, fissare il tempo che passa, uno sguardo, un gesto, un comporsi inconscio di persone ed ombre.
Cosa succede? Niente! Sta solo passando la vita!
Ecco! credo di non aver letto mai nulla di più bello, reale e sincero sulla fotografia di strada.