Mi verrebbe voglia di rispondere con atteggiamento strafottente, un po’ come quello che hanno gli imperterriti della pellicola, un po’ come quando 25 anni fa Leica disse “il digitale non ha futuro” trovandosi in ritardo non di 25 anni, ma vista la corsa tecnologica, almeno di 100 anni.
Un amico ieri mi ha postato in bacheca un video promozionale, fatto molto bene (così come la comunicazione moderna vuole) che propone una fotocamera grande quando uno smartphone, che permette riprese facili e di qualità. Interessante, carina, ma non gli ho dato molto peso, ad essere sincero.
Poi oggi ho letto di un’upgrade al quale sta lavorando Adobe che si chiamerà Monumental Mode, cioè la possibilità di “cancellare” i turisti dalle piazze, di fianco ai monumenti, di fronte ai panorami, lasciando spazio ad una visione totalmente assente di figura umana.
Ho rivisto di fronte a me anche l’uscita della fantomatica Lytro ILLUM che da sola in post poteva rimettere a fuoco immagini, creare profondità di campo ed altre diavolerie.
Ovviamente, come volevasi dimostrare c’è stato il netto schieramento di due grandi gruppi: quelli pro e quelli contro. Quelli che ritengono un concetto valido quello del “dopo” e quelli che trovano queste diavoleria addirittura un affronto alla fotografia ed alla professionalità dei fotografi.
A questo punto mi sono posto delle domande, che ovviamente non hanno trovato alcuna risposta, se non soltanto invece molti spunti di riflessione.
Non hanno trovato risposte per il semplice motivo che non si può riuscire a dare un orientamento, anche se ho una mia opinione, all’apporto tecnologico che si contraddistingue non solo nel campo della fotografia.
In un ottica di progresso l’utilizzo di certe apparecchiature (e software) non dovrebbe danneggiare nessuno, anzi, agevolare il raggiungimento del risultato finale. Di fatto poter realizzare immagini precise, di qualità, togliendo e/o aggiungendo a seconda delle esigenze, non dovrebbe sconvolgere ma dovrebbe invece aprire la mente e magari anche aprile la percezione dello sviluppo artistico delle immagini prodotte.
D’altro lato però l’accesso facilitato al risultato finale, per quanto la tecnologia abbia reso lo strumento fotografico del tutto democratico, fa perdere anche il gusto ed il piacere della ricerca.
Quello che sarebbe il valore aggiunto della conoscenza tecnica, della cultura fotografica (non mi riferisco solo ai professionisti, ovviamente), vengono accantonanti appannaggio di una semplicità che molto spesso sfocia in superficialità e mancanza di contenuti.
Sicuramente uno dei motivi per cui oggi si vedono in giro molte produzioni sterili e senza contenuto.
Sono molto orientato ultimamente al “no filter”, cioè a quelle apparecchiature che non interpongono un filtro tra me e la scena scelta, in modo da potermi concentra molto più agevolmente sul contenuto che non sull’impostazione. In questo mi viene incontro sicuramente lo smartphone.
Questa è l’ottica con cui vedrei l’utilizzo della Light, cioè la possibilità di disporre di una fotocamera che non si interpone tra me e la scena come un filtro, mentre invece il resto delle “evoluzioni” citate avrebbe comunque troppa affinità con una fotocamere anormale e genererebbe solamente una scelta postuma e non fatta a priori.
Per comprendere maggiormente che alla fine non è il mezzo che comunica con il risultato finale e che ogni mezzo va preso per quello che è il suo reale utilizzo (con tutti i suoi limiti, ma anche peculiarità) consiglio la lettura di PER UNA FILOSOFIA DELLA FOTOGRAFIA di Flusser Vilém. E per una facilità di lettura (ma anche per capire di cosa parla) vi consiglio di leggere questa recensione del libro fatta da Daniela Di Dato.
Forse con la lettura di questo libro si scateneranno meno haterismi nei confronti di apparecchiature tecnologicamente avanzate che facilitano la vita, nei modi e nei tempi con cui NOI gli permettiamo di farlo, non oltrepassando il limite quando noi non lo vorremo.