Potrebbe essere tutto molto più semplice se le immagini potessero dirci qualcosa oltre a trasmetterci i propri contenuti.
Questo gioverebbe sicuramente alla veicolazione delle informazioni per chi a tutti i costi cerca un messaggio in esse. E magari la semplicità del messaggio gioverebbe anche a chi le produce.
Ma non è così. Le immagini non parlano. Le immagini fanno vedere.
Molti sono i luoghi dove oggi più che mai si parla di fotografia, o almeno si crede di farlo. E sempre più spesso in questi luoghi è facile imbattersi in un “non mi dice nulla” oppure “non mi arriva il messaggio”.
In valore assoluto potrebbe anche essere, cioè, potrebbe anche essere che il messaggio non arrivi. E nel caso in cui il messaggio non ci fosse?
Tralasciando il fattore creativo che sicuramente incide sulla facilità di lettura delle immagini, sarebbe sicuramente molto vantaggioso per il fruitore non cercare un messaggio che non arriva, facilitandosi così la comprensione di quanto sta osservando e non precludendosi così la visione di una immagine che probabilmente va molto ben oltre ciò che traspare.
Parliamo quindi di lettura delle immagini, non di messaggi che non arrivano.
Il che significherebbe spingersi verso la metodologia di lettura delle immagini, oltre alla conoscenza dei vari generi (anzi, chiamiamole “similitudini di immagine” visto che i generi sono un altro argomento di contestazione sollevato da chi non è in grado di realizzare immagini secondo delle strutture e ne giustifica la pochezza in volontà di esprimersi senza gabbie) che permetterebbero così di apprezzare le peculiarità di quanto generato dalla fotocamera, con l’ausilio del punto di vista del fotografo.
La chiave di lettura quindi di un eventuale messaggio sta nella corretta lettura dell’immagine. Un po’ come quando si cerca di risolvere un rebus.
Mi affido alla definizione di REBUS presa dal sito della Settimana Enigmistica per dire che ‘I rebus sono vignette in cui sono raffigurati diversi soggetti. Alcuni di questi soggetti sono contrassegnati con delle lettere («grafemi», in linguaggio tecnico) o con degli asterischi.’ [NdR]
Per risolvere un rebus si procede alla semplice lettura, in rigorosa sequenza sinistra-destra, dei soggetti contrassegnati e delle eventuali relative lettere, che possono accompagnare il loro soggetto indifferentemente prima o dopo, ma che non possono assolutamente staccarsene. La sequenza così ottenuta, dopo una differente separazione tra le varie parole («cesura», in linguaggio tecnico), darà luogo ad una frase. La frase così ottenuta è la soluzione del rebus.
La lettura delle immagini ha un metodo molto simile alla risoluzione dei rebus, il che significa quindi che basta avvicinarsi a quella metodologia per facilitarsi la vita. La ritmica, la composizione, la cromia, sono tutti elementi che determinano il famoso messaggio che tutti cercano ma che un immagine muta non trasmette.
E se invece l’immagine non dovesse essere un rebus con una frase nascosta? Se invece si limitasse solo a voler porre di fronte al fruitore un momento vissuto dal fotografo?
A questo punto, i cercatori di messaggio risponderebbero: “ma già il fatto che il fotografo mi dica GUARDA QUI è esso stesso un messaggio”. Oppure potrebbero rispondere che si tratta del puro senso estetico dell’immagine il messaggio stesso.
Quindi si potrebbe trovare la risoluzione nell’interpretazione della parola ‘messaggio’? In parte forse si, ma non sempre si tratta di interpretazione legato al senso delle parole, molto spesso (quasi sempre) si riduce alla volontà di porsi nei confronti di un immagine dal proprio punto di vista, evitando quello del fotografo.
Fatto sta che la lettura dell’immagine (se ne conosciamo la struttura) è la cosa più semplice del mondo e vedere elementi inesistenti all’interno della composizione cercando un messaggio inesistente non fa bene a chi osserva, a chi genera ed alla fotografia in generale.
Devo dire che questa ricerca compulsiva di messaggio è presente molto nelle immagini singole, quelle che non hanno una struttura progettuale, una ricerca, una storia da raccontare, un evento da far vedere. Si, perché di fronte ad un portfolio, tutta la ricerca del messaggio vive in tutto il lavoro e non di certo nel singolo scatto, che estrapolato dal contesto potrebbe funzionare in quanto ‘buona fotografia’ ma totalmente primo di messaggio.
Mi piacerebbe leggere meno mancanze di messaggi che arrivano, da persone che vogliono avvicinarsi alla lettura delle immagini (con serenità e serietà). Aprendosi così realmente alla fotografia.