I FOTOGRAFI SCENDONO IN PIAZZA


La professione del fotografo ha sempre avuto delle vicissitudini poco chiare.

In passato ce la si poteva giocare sulla conoscenza della tecnica e del mezzo, e questo creava una sorta di selezione naturale. Anche se, tale conoscenza, era già anche a panaggio di chi era estimatore del mondo fotografico, ma che non si cimentava per farlo diventare una professione (primaria o secondaria che fosse).

È ben noto che avere un Albo (o Collegio) dei fotografi non è possibile sia da un punto di vista legislativo che tecnico/gestionale.

Legislativo perché possono unirsi in ordini, collegi ed albi tutte quelle professioni che hanno in seno la tutela dell’individuo, che ne preservano l’integrità e che ne possano diminuire il pericolo (per se e per la comunità).

Vi starete chiedendo “e allora l’Ordine dei Giornalisti?” (che ha una sezione apposita chiamata Lista dei Giornalisti Pubblicisti dove aderiscono tutte quelle figure professionali che PUBBLICANO).
La regolamentazione è ben più vecchia di questi limiti di batteria e comunque: siamo in Italia.

Tecnico/gestionale perché creare una categoria ben definita e regolamentata andrebbe a snaturare quella che è la parte “creativa” del fotografo, rendendoli tutti simili.

Ma esistono due Associazioni in Italia (AFIP e TAU VISUAL) che non hanno da statuto il compito di tutelare la professione, ma quella di informare, formare e rendere servizi ai professionisti che si affidano alle stesse.
E questo compito lo svolgono in maniera eccelsa, visto l’afflusso di iscritti che hanno al loro interno.

Ma si può, oggi, con tutto l’apporto e lo sviluppo (non solo tecnologico) definire una professione solo ed esclusivamente con il possesso di un regime fiscale? Parliamo della Partita IVA?

Si ritiene di no, per molteplici motivi: la conoscenza e preparazione dei (li chiamavano) fotoamatori ha raggiunto quella dei professionisti, in moti casi superandola addirittura, le leggi fiscali attuali hanno anche altre formule di introito autorizzate (una su tutte la Ritenuta d’Acconto), ma anche metodi poco convenzionali, la professione in nero.

Si, perché il limite non è solo legato alla professionalità ed al regime fiscale. Il mondo (l’Italia) è piena di furbetti, aiutati dai potenziali clienti, che si accontentano di un risultato più o meno gradevole, che centra forse lo scopo, a fronte di un ingente risparmio economico.

È ora di fare qualcosa? FOTOGRAFI UNITI dice di si!

Come? Iniziando a farsi vedere. Con una protesta. La protesta organizzata per l’11 novembre, a Roma (per saperne di più vi inviato a leggere il manifesto e se volete aderire a seguire le indicazioni in esso contenute).

“La fotografia è divenuto il mezzo con cui, anche in chiave ludica, chiunque comunica con gli altri, con grande efficacia. La tecnica ha aiutato l’approccio al mezzo e la diffusione senza ostacoli delle immagini. Questo fenomeno rappresenta un’evoluzione naturale e, per avendo comportato un’erosione delle possibilità di lavoro di una parte di fotografi professionisti, NON è certo questo il disagio oggettivo della nostra segnalazione e manifestazione.”

Leggiamo quindi una certa consapevolezza che il mezzo e la tecnologia non sono la causa di questo disagio professionale che sta portando alla deriva qualcosa per cui qualcuno in passato ha fatto grandi cose.
Ma la situazione ha sicuramente generato delle problematiche professionali non di poco conto.

L’iniziativa (organizzata da TAU VISUAL ma che non ne vuole portare la bandiera) ha lo scopo di farsi “vedere” e fare in modo che arrivi un segnale da qualche parte.

Ma siamo sicuri che farsi vedere e far percepire che esiste una categoria ed esiste una problematica, possa cambiare le cose?

Soprattutto siamo sicuri che la problematica reale sia una classificazione di una professione che OGGI non può assolutamente essere attribuita ad una partita iva?

La professione è cambiata. Non lo si può nascondere. L’immagine è cambiata. La tecnologia è cambiata. I fotografi stessi sono cambiati.
Qualcosa dovrà cambiare per riportare in riga la professione e da qualche parte si dovrà pur cominciare.
Non sappiamo se si tratti della via giusta, però sappiamo che si tratta di “qualcosa” e non di sterili lamentele scritte da qualche parte o raccontate in qualche posto.

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