
Prerogativa che lo rende affascinante a chi opera nel settore è sicuramente la partecipazione di lavori (la maggior parte) che per motivi non noti non verranno pubblicati da giornali e soprattutto non avranno il riscontro mediatico che meritano, per bellezza e per notizia. Due settimane intense e piene di eventi, incontri, mostre e tanto altro ancora.
Un totale di 26 mostre fotografiche (delle quali 13 nella stessa location), 26 meeting (tra Conferenze, convegni e Tavole rotonde), visite guidate alle mostre con la voce diretta dei fotografi che hanno realizzato i portfolio, proiezioni di film, portfolio, documentari, ma non solo. Un premio fotogiornalistico interno ed altri premi correlati.
Agenzie fotografiche e giornalistiche con i loro corner al secondo piano del Palazzo dei Congressi , l’Associazione Nazionale Ricercatori Iconografici (ANI) con le letture portfolio e tanto altro ancora.
Una vera e propria scorpacciata di fotografia a 360°!
Se avete tempo e voglia allora di cosa da fare ce ne sono, con una Perpignan che vive solo ed esclusivamente per il festival e potrebbe starvi abbondante una settimana, ma se i vostri tempi sono stringati, allora bastano 3 giorni, intensi per potersi fare una scorpacciata di immagini, ma altrettanto sufficienti per capire come sta girando il fumo nel settore. Personalmente ho deciso di stare 3 giorni soltanto, abbondanti per vedere tutto e respirare il clima fotografico, anche perché Perpignan, se pur architettonicamente molto carina, non offre nulla di più di quello che offre il festival stesso, del che ne dica internet o le guide turistiche.
Lo spessore è alto, lo si percepisce dalla quantità elevata di accrediti professionistici rilasciati (circa 6000) ad un costo che apparentemente è alto. Si, perché per essere accreditati, oltre ad una selezione (derivata da referenze, curriculum ed altro) bisogna pagare. 60 euro ed hai a disposizione un budge nominale con la categoria d’appartenenza, un bracciale “all pass area”, una cartella stampa, uno zainetto ed una copia di PHOTO ovviamente edizione dedicata al festival.
Con l’accredito si può partecipare ad un numero superiore di incontri, a proiezioni dedicate solo ad i professionisti, oltre a poter accedere all’area dedicata alle Agenzie ed al corner dell’ANI, occasioni da non sottovalutare per i fotografi che hanno voglia di farsi vedere e mettersi in gioco.
Il festival lo si può seguire in real time con un’app (sia per Apple che per Android) che aggiorna gli eventuali cambi di programma, oltre a dare una visione globale del festival e con una mappa farti raggiungere tutti i punti dove il festival vive. Piccola nota: sono segnalati anche i ristoranti che offrono convenzioni e indicati in mappa.
Le mostre, non sono poche e sicuramente di spessore, anche se quelle degne di nota non sono tantissime.
Il lavoro che più ha attirato l’attenzione dei visitatori sicuramente è The Battle Within: Sexual Assault in America’s Military di Mary F. Calvert (Zuma Press). Altra mostra molto interessante è stata quella di Jorde Silva The Tower of David. Un lavoro che fa vedere un lato umano del giornalismo e che lascia aperti spiragli di luce. Non sempre la notizia deve contenere sangue per essere tale.
Mi sono poi soffermato molto al Cunvent des Minimes perché al suo interno si concentrava il più alto numero di mostre (ben 13, tra cui il Worldpress Photo 2014) e li ho avuto modo di approfondire quello che è stato il tema affrontato da Ruben Salvadori quando ha realizzato Photojournalism Behind the Scenes nel quale faceva vedere come i fotoreporter fossero alla fine in balia di una gabbia nella quale avevano poca autonomia di movimento, come dei leoni in gabbia. Nelle mostre di Michaël Zumstein e Pierre Terdjman che da due angolazioni diverse hanno ripreso la stessa scena. Entrambe i lavori di una violenza inaudita (anche inutile da un punto di vista fotografico)!
Lavoro interessante è quello di Christophe Simon Football as seen through the eye of the children in Cidade de Deus favela, dove l’autore espone le fotografie realizzate direttamente dai ragazzi delle favela che con lui hanno imparato a sviluppare progetti fotografici.
Sensazionale è stata la provocazione di Samuel Bollendorff (in partnership con André Gunthert) dove in Amateurs make the front page vengono selezionate le 30 fotografie che raccontano l’accaduto nel primo momento in cui stanno accadendo. Quando un inviato non potrà mai essere presente. Provocazione perché? Perché? dimostrano che quelle foto non toglieranno mai il lavoro ai fotoreporter e che quegli utenti non diventeranno mai fotografi.
Invece al Campo Santo ci sono state una serie di proiezioni tutte le sere. Una selezione di portfolio e di racconti che hanno di sicuro completato il percorso espositivo del festival. Il programma completo sull’Agenda del festival.
Il festival è anche corredato anche da un premio, il Visa d’or – Daily Press Award, quest’anno vinto da Meeri Koutaniemi (di Echo Photo Agency Milano) con Taken.
Complimenti al Team di Echo Photo Agency (il mio orgoglio italiano che viene fuori)!!!
L’unica cosa che non mi è affatto piaciuta è il pessimismo nel quale vive il fotogiornalismo, oggi. Una quantità spropositata di lavori che mostrano violenza, negatività, scontri, situazioni pessimistiche, condizioni disumane, e solo pochi (veramente pochissimi) fotoreporter hanno scelto di raccontare “storie a lieto fine”.
In una condizione generale dove non c’è più appeal immagino un mondo fatto di speranza e di volontà. Vedo storie belle, sorrisi e voglia di ricominciare. Direi che è anche arrivato il momento di fare un po inversione di marcia, come credo sia arrivato il momento di raccontare le storie belle e che soprattutto abbiamo sotto casa, senza per forza dover arrivare in Mongolia, Venezuela, o Centro Africa.
Il fotogiornalismo non è una questione di chilometri, di colpi sparati o di sangue versato!!
Si parla sempre più spesso di macchine nuove, di obiettivi, accessori e sempre meno di fotografia.Per fortuna c’è qualcuno che va contro tendenza e ci permette di immergerci in un mondo fatto di talento, sacrificio, cultura, il mondo della fotografia, quella fatta per raccontare storie. Le stesse che troviamo anche dietro l’angolo e non solo dove si versa sangue. Quest’articolo è un invito a riflettere. Grazie Angelo per il tuo impegno verso la fotografia.
Grazie Mirko!
Spero tanto che le cose in qualche modo cambino. Davvero!
Relativamente all’ultimo paragrafo, pensavo che il fotogiornalismo avesse raggiunto una certa maturazione invece, a parte una apertura geografica all’est Europa (precedente alla questione Ucraina), continuano a contare gli stessi temi e soggetti di 20 anni fa e oltre.
È proprio quello il punto. Le tematiche non si evolvono e potrebbero anche dare nuova luce al fotogiornalismo, sia per la speranza umana, ma anche per quelle che sono le tipologie di temi toccati.
A tal proposito consiglio di ascoltare l’intervento fatto da Longari (AFP) l’altro giorno a Radio Vaticana, che allego qui sotto in un link.
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