
Lo scorso 13 giugno a Milano, presso la sala del Circolo della Stampa al Palazzo Bocconi, corso Venezia 48 a Milano è stato aggiudicato il Premio Ponchielli 2014.
Prima di scrivere questo articolo ho atteso ci poter avere più dettagli da poter fornire, con contributi che potessero far vivere gli stessi momenti emozionanti che ho provato io durante la proiezione dei quindici finalisti.
Ho partecipato anch’io alle selezioni, ma poi vedendo i finalisti, mi sono reso conto che il mio lavoro non aveva la stessa forza di chi, a giusta ragione, era stato selezionato. Ma questa è un’altra storia.
Qualcuno si è chiesto “ma chi ha vinto?” altri invece, più interessati “ma quali sono i lavori giunti in finale?” perché non è stata una notizia di facile reperimento, anche per gli addetti al settore. Più che mai invece per semplici estimatori del fotogiornalismo e della buona fotografia.
La giuria, composta quest’anno da Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera e presidente di giuria, Alfredo Pratelli, fotografo e presidente onorario di AFIP (Associazione Fotografia Internazionale Professionisti), Maurizio Zanuso della Galleria Bel Vedere, Mariuccia Stiffoni e i tre componenti del GRIN Elena Ceratti, Paola Romano e Raffaele Vertaldi, oltre allo sponsor.
La serata è cominciata con un momento doveroso dedicato ad Andy Rocchelli (fotoreporter di Cesura Lab scomparso a fine maggio in Ucraina) e quindi con la proiezione narrata di una serie di fotografie e lavori realizzati dal photoreporter prima del triste evento.
Dopo so è continuato con la proiezione dei 15 portfolio (con la colonna sonora curata da Luca Toccaceli) arrivati in finale per poi sul finale la proclamazione del vincitore da parte di Mariateresa Cerretelli (Presidente del GRIN):
Alessandro Grassani con Enviromental migrants: The last illusion è il vincitore dell’edizione 2014.
Menzione per Giulio Di Sturco con Ganges, death of a river e Paolo Verzone con Cadetti.
Invece, per la sez. “libro” viene premiato 19.06_26.08.1945.
Le motivazioni della giuria:
Per Alessandro Grassani:
Il progetto vincitore di questa edizione potrebbe avere come titolo: morire di sete. Raramente il dolore, l’attesa, l’illusione sono stati descritti con immagini così profonde significative. Nel Corno d’Africa la desertificazione uccide ogni speranza, anche di coloro che ne avevano pochissima e aggrappata alla modesta attività agricola o di allevamento. La lotta per il controllo delle modeste risorse idriche si trasforma in un conflitto quotidiano per la sopravvivenza. Un conflitto esasperato dall’odio tribale. E l’urbanizzazione selvaggia ha il volto disumano e maleodorante degli slums. I migranti ambientali hanno perso tutto e il loro sguardo è nel vuoto, ma conservano un’intima e indistruttibile dignità. Mentre il nostro, di sguardo, che ha la mobilitò nevrotica delle cattive coscienze, scivola via. Grassani ha anche il merito di costringerci a vedere e riflettere. Un grande reportage.
Per Giulio Di Sturco:
Anche nelle fotografie di Di Sturco il tema dei cambiamenti climatici è di forte attualità e impatto. Colpisce la grande serietà del progetto professionale, la forte immedesimazione personale nell’ambiente e nella cultura indiane, al di là dell’impatto artistico delle immagini. Di Sturco fotografa il Gange da sei anni, ne documenta il degrado, l’inquinamento, gli effetti devastanti delle dighe e della salinizzazione dei terreni. La fonte di vita materiale e spirituale dell’otto per cento della popolazione mondiale si esaurisce in un declino lento e inesorabile ma, nella sua fragilità, il Gange diffonde colori e toni di rara bellezza che testimoniano di una cultura e di una spiritualità che non moriranno mai.
Per Paolo Verzone:
Fotografare i cadetti delle migliori accademie d’Europa, superando ostacoli e autorizzazioni, e cogliere differenze e analogie nelle carriere e nei modi di interpretare l’autorità militare in quattordici Paesi. Un progetto ambizioso e non facile da realizzare. Gli scatti di Verzone ritraggono giovani cadetti e cadette non solo nella loro austera e impersonale fissità militare, come probabilmente avrebbero voluto i responsabili delle accademie nel momento in cui hanno accettato la presenza indiscreta del fotografo, ma anche nella loro imperscrutabile individualità. Non sorridono mai ma lasciano scorgere nei loro occhi il percorso delle loro vite. E forse ansie e passioni comuni, senza divisa e nazionalità.
Per il libro:
Realizzato da Andrea Botto in ricordo del nonno Primo Benedetti, questo straordinario libro d’artista ricostruisce il suo viaggio, dopo essere stato liberato da un campo di concentramento, dalla Germania alla Toscana, dal 19 giugno al 26 agosto 1945. Ha ricevuto il Dummy Award al FotobookFestival di Kassel nel 2012. Stampato da Danilo Montanari Editore, Ravenna, in 250 esemplari in occasione del MIA Fair 2014.
Grazie al canale vimeo di ANI (Association Nazionale des Iconographes) è possibile vedere il video integrale che mostra i quindici lavori arrivati in finale:
Personalmente, per quella che è stata l’emozione provata (forse complice anche la colonna sonora) avrei preferito vincesse Paolo Verzone, con un lavoro pulito, metodico, sudato nella realizzazione, che fa trasparire il carattere del fotografo, oltre a far vivere in pieno quello che è lo stile di vita dei cadetti.
Buona visione.