È incredibile come dietro al genere fotografico che non esiste (parole di vecchie glorie della fotografia che non riescono ad ammettere che la loro mancanza di cultura fotografica genera mostri), ci sia così tanto hype da generare in ogni angolo qualsivoglia attività atta a divulgare la materia. Festival, eventi, didattica, blog, 

Siamo nelle more di un articolo polemico? Probabile. Ma da cosa nasce?

Spero veramente che il suo contenuto serva a far aprire gli occhi a chi si avvicina al genere e che fortunati di una serie di applausi vengono avvicinati per generare introiti. 

Ricordo che i miei primi approcci alla fotografia nel 1991 erano rivolti alle persone e quello che mi succedeva intorno. Ero totalmente ignaro di cosa si trattasse, ma raccontare storie di sconosciuti rendeva la fotografia un qualcosa di puramente affascinante. 

Arrivato a Milano nel 2004 mi trovo a confrontarmi con la parte più digitale della fotografia, era il periodo in cui Flickr andava fortissimo. Gruppi, pubblicazioni, commenti, era il momento del confronto, dove ognuno poteva dire la sua, ma con immensa umiltà e voglia di imparare. 

Nasce il primo gruppo conosciuto del genere: HCSP (Hard Core Street Photography). Era l’8 febbraio del 2005. Una moderazione e una crudezza intensa, con fotografie piene di contenuto e discussioni che non versavano mai sulla tecnica ma sul contenuto.

Poi un buco, fino al 2010 quando in tutto il mondo proliferano gruppi e collettivi, tanto da rendere quasi l’aria irrespirabile. Molti validi, con autori di spessore, molte volte popolati anche da fotografi che hanno scritto la storia, non solo del genere. 

Ma troppo, tanto da creare tifo da curva e faide con il coltello tra i denti, per un posizionamento da primato. 

L’Italia in questa faida si posiziona a livelli altissimi, tanto da essere la nazione con  il più alto numero di collettivi (benché il fotografo sia un animale solitario, si sentiva l’esigenza di andare insieme verso una direzione). 

Insulti, primatisti di bassa lega, saccenza ingiustificata.

Tutto questo (per fortuna) dura poco, il collasso è dietro l’angolo, anche perché non è sostenibile. Mancanza di cultura, scontri su territori piccoli e dispute da bar dello sport.

(di queste nei fui vittima anch’io, ma questa è un’altra storia)

Compaiono a questo punto i primi festival, che si affiancano ai festival storici di fotografia, che cercano di accaparrarsi i titoli di primi, di unici, di eccellenza.

C’è sempre il retrogusto del personale, che mette in ombra sempre la fotografia, il suo contenuto, la sua narrazione. 

Mentre la lotta per il posizionamento va avanti, generando per ogni paese un proprio festival (credo di averne contati al momento 12) divulgatori e indottrinati fanno la loro parte dell’altro lato. Sorgono piattaforme, gruppi di ascolto, ricordo che su Club House nacquero delle rooms tematiche, che tra di loro si lanciavano saette avvelenate. 

Ad oggi c’è un caos, il caos più assoluto, dove chi ne patisce le conseguenze è la fotografia. 

Solo ed esclusivamente lei. 

Bassa qualità di fotografie, bassa qualità di eventi, bassa qualità di contenuti, bassa qualità di didattica, bassa qualità su tutti i fronti. 

Sogno un mondo in cui la fotografia di strada torni ad essere utile per il prossimo, raccontando storie di vita quotidiane, senza formalismi dove la tecnica e la composizione prendono il sopravvento su quello che ci accade intorno.

Mi piacerebbe che qualcuno potesse contraddirmi, quanto meno contraddire il contenuto di questo sfogo.

2 risposte a “TUTTI QUANTI VOGLION FARE STREET”

  1. Ho visto recentemente al museo di Roma in Trastevere la mostra della fotografa tedesca Hilde Lotz-Bauer, considerata una pioniera della fotografia di strada, autrice che non conoscevo. Fece numerosi reportage nell’Italia degli anni ’30, prima della seconda guerra mondiale, nelle città e nei paesi, mostrando quella che era la vita ai tempi, una società prevalentemente rurale e contadina, semplice, spesso in codizioni di povertà ma sempre dignitosa. Ovviamente non sono foto “sensazionalistiche” o con tecnicismi, ricerche di giustapposizioni, effetti “Wow!”, doppi sensi o tanti altri “vizi” che abbiamo nella street contemporanea. Sono documenti di vita, testimonianze storiche di un’epoca. Ecco, bisognerebbe lasciare anche questo ai nostri posteri, l’effetto “figo” della S.P. contemporanea va bene, diverte, affascina, ma non basta o comunque non deve essere solo quella la ricerca. Deve essere una testimonianza indelebile dei tempi vissuti, bisogna sempre pensare al futuro, agli spettatori che verranno e che le guarderanno dopo decenni. Resteranno come memoria significativa? Come le foto degli ani ’30 della sopra citata fotografa? Ai posteri l’ardua sentenza, come diceva il noto poeta…

    1. Grazie dell’intervento.

      Sì, la Lotz-Bauer ha creato qualcosa di unico, sotto tanti punti di vista.
      La mostra (benché sia stato a Roma per il premio Igers Italia in qualità di giurato, proprio a gennaio) me la sono persa, ma l’autrice la conosco molto bene.

      Per quanto riguarda la necessità di creare documenti, ne parlai in questo articolo qualche tempo fa:
      https://angeloferrillo.org/2018/04/07/tano-che-cose-per-te-la-street/

Lascia un commento

In voga